Dopo la data all’Alchemica di Bologna, l’iconico frontman Hoest ed i suoi Taake hanno messo piede in Veneto per presentare lo show dedicato al trentennale dalla formazione della band. Ad appoggiare gli scandinavi sono stati Stormcrow e Amthrya, due realtà italiane di assoluto livello che stanno facendo parlare molto di sé negli ultimi tempi. Con queste premesse non potevamo che aspettarci un live da “pugni sullo stomaco“ e purtroppo ad un certo punto ha rischiato di diventarlo anche in senso letterale… Ma andiamo con ordine.

AMTRHYA

Avevamo già avuto il piacere di conoscerli in apertura ai Batushka lo scorso aprile, ma nonostante un lasso di tempo così breve i nostri si sono dati da fare e si sono presentati sul palco con alcune novità importanti: le chitarre ora sono due e l’outfit degli strumentisti è diventato più oscuro e criptico, adottando un vestiario completamente nero che va a nascondere i volti. Invariata è rimasta invece l’ipnotica presenza della cantante Kasumi, che raccoglie tutta l’essenza della band nel suo aspetto da spettro giapponese. Attraverso movenze studiate e parti vocali colme di furore e disperazione ricalca perfettamente lo spirito black metal, riuscendo anche a dare al genere una ondata di freschezza grazie ad un background culturale diverso dal classico. Dal punto di vista esecutivo la band si è dimostrata molto solida, mentre non siamo stati pienamente convinti delle scelte di mix adottate; in ogni caso gli Amthrya portano a casa uno show che dimostra un miglioramento tecnico nell’esecuzione dei brani, una grande teatralità e la volontà di innovarsi e sviluppare il proprio concept.

STORMCROW

Attivi dal ‘97, non sono di certo gli ultimi arrivati. Al contrario della band di apertura, gli Stormcrow hanno scelto di interpretare il genere in modo assolutamente tradizionale: corpsepaint, borchie, croci e pelle che ricalcano l’immagine dei gruppi black metal più storici e radicati nel genere. Già con il primo brano ci hanno fatto capire che non sono assolutamente una band con cui scherzare, il drumming è stato preciso e micidiale, le parti sono molto serrate e i brani sono in grado di trasmettere un’atmosfera malsana e allo stesso tempo trascendentale. Il loro show prosegue dritto e monolitico, supportato da un ottimo sound che ne valorizza al massimo i pregi.

TAAKE

Dopo un cambio palco piuttosto lungo e rilassato è finalmente il momento del piatto forte della serata. Parte la intro, una melodia scura eseguita da un coro antico, e mentre l’atmosfera si è ormai fatta rovente parte Nordbundet, uno dei brani meglio riusciti dell’album “Noregs Vaapen“. I suoni sono stati fin da subito eccellenti e uniti alla musica di Hoest aggressiva ma anche melodica e accattivante dove serve, hanno dato al pubblico la carica giusta e gran voglia di partecipare. La scelta della scaletta ha giustamente rappresentato i capitoli migliori della produzione discografica dei Taake, in particolare sono state molto apprezzate Fra vadested til vaandesmed, Orkan, Hordalands Doedskvad 3 e l’immancabile Myr. Hoest alla voce ha eseguito perfettamente i brani con la disinvoltura di chi sa perfettamente quello che fa, e con altrettanta disinvoltura ha interagito con il pubblico, abbandonando a volte il microfono nelle mani della prima fila, lasciando i presenti piuttosto spiazzati. La resa generale dei pezzi è stata assolutamente ottima, anche migliore – per una volta – di quanto è possibile apprezzare nei lavori in studio, che a volte hanno qualità audio altalenante. 

È con gli ultimi brani che iniziano i problemi, il Nostro preso dalla foga ha iniziato a usare il microfono come strumento ritmico sbattendolo a terra o sulle spie; sfortunatamente il povero microfono non è durato a lungo e presto la voce è rimasta senza amplificazione. Non ricevendo attrezzatura sostitutiva da parte del service, non è rimasto che utilizzare il microfono degli altri strumentisti adibito a cantare i cori. Evidentemente in Norvegia sono abituati a microfoni in adamantio, perché passa poco più che mezzo brano prima che il cantante riprenda a sbattere il microfono ovunque per poi rimanere nuovamente senza audio. 

Siamo arrivati intanto all’ultimo brano, l’iconica Myr, peccato per la voce che ormai è rimasta ammutolita. Nonostante un Hoest rosso di collera, i Taake comunque danno al pubblico quello che vuole, ovvero il riff di banjo più famoso del black metal, eseguito in live con un banjo vero e proprio da uno dei chitarristi, fra le urla di approvazione dei fan.

Nonostante questi “inconvenienti tecnici” si può dire che è stato un gran concerto, scaletta incredibile, suoni perfetti e grande show. Torniamo a casa soddisfatti e anche leggermente turbati dal pensiero che nel frattempo Hoest stia probabilmente facendo danni nel backstage.

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