THRASH METAL.
Scritto volutamente in maiuscolo, come se qualcuno stesse urlando forsennatamente. Anche perché non avrei proprio modo di descrivere in maniera più esauriente una bella serata selvaggia passata in quel di Parma, al Campus Industry Music, locale riempito dalla foga di un pubblico calorosissimo. Come se tutti avessimo contato i secondi per l’apertura dei cancelli, la compagine estrema composta da Keops, Heathen, Exhorder e Overkill ha letteralmente incendiato il territorio parmense rispondendo per le rime alla foga dei fan accorsi per l’evento, col ferro e col fuoco, rispettando come unica regola il principio base di un esercito di feroci predoni: niente prigionieri.
Pronti a detonare assieme? Accendiamo la miccia!

KEOPS

Si parte immediatamente con i Keops, band croata la cui fondazione risale al 1995 pur risultando maggiormente attiva dal 2012. Tre full-length nell’arco di una decina d’anni di cui l’ultimo, Road To Perdition, risalente ad appena un anno fa. Ed è proprio quest’ultimo il lavoro promosso da Bruno Micetic e compagni nel poco spazio messo a disposizione: dalla titletrack a Unconscious Mind e Rise Again, passando per un’ottima cover di Symphony Of Destruction, un pugno di brani che arriva dritto dove deve arrivare, senza pretese, filtri o troppi complimenti. Il riscontro dei presenti è più che buono, in diversi avrebbero voluto ascoltare qualcosa in più e non hanno mancato di farlo notare a gran voce quando il frontman annunciava l’ultimo brano dell’esigua scaletta. Un’esibizione compatta seppur breve, nella quale il quintetto croato mostra uno stato di salute non indifferente, a suon di un Hard n’ Heavy profondamente intriso di Groove, un sound puramente novantiano capace di catturare senza dubbio l’attenzione del pubblico accorso.

HEATHEN

Senza colpo ferire ecco giungere sul palco gli Heathen. Capitani di lungo corso, statunitensi fino al midollo (dalla Bay Area con furore; Frisco is still on fire!), gruppo thrash fra i nomi di spicco di un certo tipo di sottobosco ottantiano. Il quintetto capitanato da David R. White mette subito in chiaro la propria attitudine di thrashers senza fronzoli, andando a ripescare un po’ dovunque nel proprio repertorio, spaziando molto bene fra nuovo e storico. Si parte in quarta con l’opening The Blight, tratta dall’ultimo, più che discreto Empire of the Blind, rilasciato nel 2020 sotto l’egida della Nuclear Blast. Un brano che non sfigura di certo se accostato al seguente Opiate For The Masses, datato 1991 e tratto dal secondo lavoro della band, Victims of Deception. Ed ancora Dying Season, brano del 2010, seguito a ruota dalla storica Goblin’s Blade, direttamente dall’esordio Breaking the Silence del 1984. Si torna al presente con Sun in my Hand, scelta con la quale gli Heathen rivendicano con forza e spregiudicatezza l’importante status di band ancora attiva, per nulla decisa ad adagiarsi sugli allori del tempo che fu. Non certo una compagine nostalgica, bensì un gruppo che ha ancora tanto da dire e lo dimostra. L’ottima interazione del frontman con il pubblico garantisce ai nostri americani il favore dell’intera audience, soprattutto quando giunge il momento dei saluti con Hypnotize. Una scaletta non certo biblica, tutti avremmo voluto qualcosa in più… ma non è il momento di farsi prendere dallo sconforto.

EXHORDER

Proseguiamo a ritmo incalzante di tamburi di guerra con l’arrivo di una band fra le più amate dai thrashers più incalliti. Per anni, parte della loro notorietà è stata legata a doppio filo al nome dei Pantera, più per gossip che effettiva attinenza. Anselmo e soci, a detta di molti, avrebbero infatti attinto a piene mani dal modo di suonare degli storici Exhorder, venendo questi ultimi malamente plagiati senza neanche un grazie o una citazione in sedi importanti. Polemica spenta anni addietro dallo stesso Kyle Thomas, il quale non ha certo negato la possibilità di aver influenzato il gruppo texano altresì ammettendo di essere loro amico e di considerare giusto e meritato tutto il successo che essi hanno ottenuto nel corso degli anni. Metal gossip che non ha modo di esistere, proprio perché abbiamo d’innanzi un gruppo che vuole dimostrare, dopo la bellezza di quarant’anni di attività, di poter mettere a sedere tanti giovinastri. Si parte con Incontinence per poi giocarsi subito l’asso, sganciare la bomba, premere il grilletto: è la sempiterna Slaughter in the Vatican a scatenare definitivamente l’inferno, col suo thrash groove devastante. Un brano che ci saremmo aspettati verso la fine e che invece fa la sua comparsa praticamente ad inizio set, pompando adrenalina nelle vene di un pubblico in visibilio. Rimaniamo in territori storici con Death in Vain, sempre tratta dal “massacro in vaticano”, per poi passare alla più recente My Time, introdotta da un discorso di Thomas circa la tossicità di molti ambienti lavorativi e l’importanza di gestire il nostro tempo senza troppe ingerenze esterne. Ci chiede quanti di noi saranno a lavoro il Sabato successivo al concerto, in quanti abbiano raggiunto l’evento dopo una giornata lavorativa, ricordandoci che non si vive per lavorare ed è importantissimo avere anche momenti felici, di gioia e svago totali… meglio se in compagnia di una birra e degli Exhorder!
Si torna a celebrare i vecchi fasti con Legions of the Death, Exhorder e l’ultima Desecrator. Una scaletta ottima seppur breve (ancora una volta), incentrata praticamente su Slaughter in the Vatican per la gioia della vecchia guardia. Kyle e soci hanno fatto quel che sapevano fare meglio: loro stessi. Possiamo biasimarli? Credo proprio di no!

OVERKILL

Arriva quindi il momento che tutti aspettavamo con trepidazione: l’arrivo degli Overkill. Una band che ha letteralmente scalato le generazioni, riuscendo ad arrivare ad ogni tipo di fan. Che si ascolti Black, Death, Avant Garde o più semplicemente Heavy o scontatamente Thrash, il teschio alato del Massacro è un nome rispettato quanto altisonante. Una band che non avrà forse raggiunto i numeri da capogiro di Metallica o Slayer, ma che è riuscita nel corso di quarant’anni di attività e continuità instancabile a ritagliarsi un posto d’onore nell’Olimpo del Thrash Metal, facendo presa sulle giovani leve con dischi incredibilmente solidi, d’impatto, moderni, che nulla hanno da invidiare ai capolavori degli anni ’80. Esattamente come gli Heathen, per Bobby e D. D. non è assolutamente il tempo di appendere gli strumenti al chiodo e campare di facili operazioni nostalgia. Nossignore, gli Overkill vogliono anche in maniera prepotente e stoica dimostrare quanto le loro ultime uscite facciano parte del loro immenso repertorio, non screditando i dischi più recenti ma anzi dotando i pezzi meno longevi di una luce ancor più fulgida e splendente. Si parte infatti con Scorched e Bring me The Night, l’uno tratto dall’ultimo, ottimo ed omonimo album ed il secondo dal possente Ironbound, datato 2010. Una scelta che ci dimostra quanto il repertorio degli ultimi dieci anni sia ormai entrato a pieno titolo nel girone dei “classici”. Idem per quel che riguarda Electric Rattlesnake, a completare un terzetto di brani immediatamente seguito dall’indimenticabile Hello From The Gutter, anthem per antonomasia del gruppo nativo di New York. La carica ottantiana di un brano storico come Hello scuote definitivamente (come ce ne fosse stato bisogno!) le viscere dei presenti, ormai dediti al culto totale del Massacro. Si continua sulla stessa riga con un’altra grande hit, Powersurge, per poi tornare al presente con Wicked Place, ancora una volta tratta da Scorched. Arriva ben presto il tributo ad uno dei loro album più apprezzati di sempre, quell’Horroscope degnamente rappresentato sia da Coma che dall’indimenticabile titletrack; tributo a cui segue la svolta tutta novantiana di Long Time Dyin’, un balzo in avanti verso l’anno in corso con The Surgeon ed una virata al recente passato con Mean, Green, Killing Machine. Arrivati a questo punto, mi chiedo cosa potrebbe effettivamente fermare gli Overkill. Solo una forza superiore all’umano potrebbe interrompere questa esibizione fatta di pura adrenalina Thrash… e difatti un improvviso blackout lascia basiti i Nostri e l’intero pubblico presente. Via le luci, via la corrente, mi aspettavo che da un momento all’altro Undertaker facesse la sua comparsa fra il pubblico ma così non è stato. Problema risolto in tempi relativamente brevi, tanto sgomento, ma si può ripartire senza dover attendere un’eternità. Inconveniente che non placa la foga di Bobby e compagni, i quali ripescano Ironbound per poi chiudere con la storicissima Elimination. Lo show prosegue dunque con i bis, avviandosi alla fine. Un terzetto devastante, quello formato dall’omonima Overkill, dall’inno Rotten To the Core e dalla classica, meravigliosa Fuck You, cover dei Subhumans. Insomma, un’esibizione che ci consegna degli Overkill per i quali il tempo sembra essersi letteralmente fermato. Scaletta variegata e per nulla scontata, brani recenti che non sfigurano affatto se accostati ai classici, forma fisica strepitosa: una band che continuerà, ne sono certo, a dire dare e donare ancora moltissimo al panorama Metal in generale. Sempre detto e sempre ribadito: gli Overkill sono i Saxon del Thrash e nessuno me lo toglierà mai dalla testa.

In conclusione, una serata a dir poco strepitosa, quasi un piccolo festival totalmente dedicato al Thrash Metal d’annata. Unica pecca, se così vogliamo definirla, il minutaggio troppo esiguo toccato ad Exhorder ed Heathen, che avrebbero sicuramente meritato di eseguire qualche brano in più. Come si suol dire, però, la quantità è nulla dinnanzi alla qualità. E di questa, posso garantirvi, ne abbiamo avuta a palate.

Di Marek

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