BAND: Starspawn of Cthulhu
ALBUM: The Cursed Vision
ANNO: 2023
GENERE: Doom Metal
ETICHETTA: Indipendente

Mille cuccioli i figli di Shub Niggurath, così le band dedite al culto dello strano colore lovecraftiano. Venuti dallo spazio, vissuti sulla terra, progenie degli strani eoni… poco importa. Quel che conta davvero è che la fiamma non smetta mai di ardere e che la follia di Abdul Alhazred non cessi mai di forgiare, nell’oscura notte di Innsmouth, accoliti fedeli al Culto per antonomasia.

I vicentini Starspawn of Cthulhu non fanno eccezione e proseguono di gran carriera lungo strambi sentieri nero pece, ove mille occhi e bocche gravidi di linguaggi viscidamente fuori dal tempo scrutano ogni nostra mossa, attendendo pazienti, consci che anche alla Morte prima o dopo morirà.

Una band nata ufficialmente nel 2019 con all’attivo la bellezza di tre EP ed un singolo, rilasciati negli ultimi anni a cadenza regolare. L’esordio è datato Febbraio 2020, anno in cui “Yog-Sothothery” vede la luce per mano dell’innominabile sinergia fra Domenico Groppo e Roberto Biasin, polistrumentisti ammiratori dell’opera omnia del Solitario di Providence; qui cantata e declamata mediante l’adozione di un Doom Metal possente ed inesorabile, massicciamente oscuro, pregno di ineluttabilità. Quasi ci trovassimo al cospetto degli Antichi, ecco che il sound della band assume caratteri implacabili e decisamente “cosmicisti”, mettendoci d’inanzi quattro tracce il cui scopo è farci capire quanto il nostro essere “umani” sia un limite enorme, invalicabile, messi al cospetto di situazioni e creature che i nostri poveri cervelli mortali mai potranno – nemmeno cercare – di comprendere. Linee guida ben esplicate, un sentiero lastricato di oscure intenzioni, niente orpelli: riff pesanti come macigni, voce ora crudelmente cavernosa ora declamante, aperture melodiche decadenti, pessimiste, un sound che si ripropone alla perfezione nel successivo “Tales from the Unknown” (2021), ove spicca persino una menzione al sempre amato Robert W. Chambers ed al culto del carcosiano Re in Giallo.

Eccoci dunque dinnanzi all’oggetto dell’odierna disamina, l’EP “The Cursed Vision”, rilasciato ufficialmente lo scorso Gennaio in via digitale /indipendente ed in formato fisico nel Febbraio dello stesso anno, sotto l’egida della “Talheim Records Germany” . Un EP splendidamente illustrato da un ottimo artwork a cura di Eros Veschi e composto da cinque tracce, per certi versi “differenti” (mi si perdoni il termine) dalle precedenti pur rimanendo perfettamente appoggiate su binari Doom. Balza subito all’orecchio un’apertura alle melodie maggiore che in precedenza, ove ambientazioni più oniriche e sofferenti la fanno da padroni, dipingendo scenari molto più tristi e malinconici che possenti e crudeli. Abbiamo infatti un tema abbastanza ricorrente, testualmente parlando: la solitudine, l’abbandono, l’amara presa di coscienza di un destino cieco e sordo come Azathoth. La pazzia che ghermisce, dilania, mangia e sputa un po’ dove le pare, in grado di donarci la consapevolezza definitiva. Non poter fare nulla. Accettare di essere delle pedine nelle mani di un destino troppo più grande di quanto mai potremo anche solo pensare che sia. Creature più vecchie del tempo stesso, mondi indecifrabili, arcani linguaggi che mai ci apparterranno. Questa la sorte del protagonista della prima traccia, il cantore “Iranon“, descritto nell’omonimo brano come un girovago privo di meta. La storia del poeta errante è dunque perfetta per le melodie madide di pianto che dominano l’intera canzone: un clima sonoro fatto di tristezza dalle tinte depressive, nelle quali i sogni del giovane cinto d’alloro svaniscono dinnanzi alla consapevolezza di aver passato una vita ad inventare, inconsciamente o meno, un eldorado di nome Aira; la città meravigliosa esistita soltanto nella sua mente, il cui ricordo fasullo è destinato ad essere sepolto da un pantano di sabbie mobili, denso e rivoltante. I toni non cambiano nella successiva “The Last Raft“, in cui assistiamo al delirio del naufrago ch’ebbe la sfortuna di imbattersi dell’antico Dagon. La solitudine di chi ha assistito ad un prodigio tanto incredibile quanto terrificante, destinato a sprofondare nelle oscure acque della follia più totale. Chi gli crederà? Chi lo consolerà? Chi potrebbe mai dare sollievo alla sua testa se non una dipendenza cronica da morfina? Un brano che ci fa calare totalmente in questa situazione così disperata quanto stramba, riuscendo pienamente in questo intento. La traccia più lunga del lotto, “Black Lotus“, sembra quasi esasperare quanto sino ad ora udito, spalmando questi stilemi lungo otto minuti di durata. Tempistiche dilatate per una marcia all’interno di visioni strane e totalmente prive di logica umana o mortale, quasi come se avessimo effettivamente assunto il loto nero e ci stessimo incamminando verso l’abbandono totale della razionalità. Del resto, l’obbiettivo della mistica pianta è proprio questo: indurci alla follia, isolare ogni traccia di raziocinio. Solo allora potremo comprendere il culto dei Grandi Antichi nella sua interezza. Si ritorna “alle origini” con la penultima “Blind God“, interamente dedicata al demone sultano Azathoth. Del resto, come si potrebbe descrivere la sua corte se non ri-adottando in toto un gusto molto più aggressivo e pesante? Sembra quasi di vederlo, l’immondo, in procinto di svegliarsi e di porre fine all’intero universo. Le blasfeme litanie ed i riff abrasivi degli Starspawn of Cthulhu dipingono alla perfezione le danze cadenzate di quegli strampalati non esseri che suonano e ballano incessantemente per il loro Signore, sperando di prolungare il suo sonno ancora per qualche eone. Si chiude in bellezza con la quinta “…But Now i’m Suffering“, trionfo di disperazione dalle tinte depressive già ammirate lungo i brani precedenti. Un quadro sonoro dipinto con i colori della disperazione e della tristezza più totali, nel quale il giovane Jervas fa i conti con il sostanziale disfacimento dei concetti di “vero” e “falso”. Quella tomba è per lui? Cos’accadde in quella casa? Perché nessuno vuole credergli? Perché suo padre lo ha fatto internare in un manicomio senza dargli neanche un pizzico di fiducia o possibilità di spiegare quel che sia effettivamente occorso a suo figlio? Le sensazioni e le emozioni contrastanti del povero protagonista de “La Tomba” non potevano essere descritte meglio di come è stato fatto in questo brano.

In conclusione, parliamo di un EP sicuramente ben riuscito e suonato. Una sostanziale virata melodica che ben si confà alle storie narrate, sottolineando quanto la scelta di protagonisti come Iranon o citazioni come quella del Loto Nero vadano ad impreziosire un’opera che non dà nulla per scontato ed anzi, permette al pubblico di interfacciarsi con racconti e situazioni lovecraftiane da veri cultori, ampliando il proprio background. Cosa mai scontata, a dire il vero. Dopo tutto, più il riferimento è particolare e pesato, più la curiosità ci permette di andare a sviscerare un disco nella sua completezza, lasciandoci piacevolmente sorpresi ed arricchiti durante ed alla fine dell’ascolto. Un duo, gli Starspawn of Cthulhu, che mi sento di promuovere per quanto dimostrato quest’anno e per quanto già fatto negli eoni precedenti. Tre EP che grazie a The Cursed Vision creano una piacevolissima quanto oscura trilogia. Vi aspetto in cima al Kadath assieme a Randolph Carter, ragazzi miei. Ma prima dell’incontro voglio che mi facciate una promessa: non smarrite mai, MAI, la chiave d’argento.

VOTO 7.5/10

TRACKLIST

  1. Iranon
  2. The Last Raft
  3. Black Lotus
  4. Blind God
  5. …But now I’m suffering

Di Marek

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